C’era una volta ENRICO BERLINGUER

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Incontro pubblico

Il circolo democratico del Lido e Pellestrina ha il piacere di invitarvi, sabato 21 giugno, alle ore 17.30 presso l’ex-Pescheria in Via Lepanto (se piove, in Municipalità), ad una giornata in memoria del politico, e ancor più dell’uomo, Enrico Berlinguer, in occasione del trentennale della sua morte.

Berlinguer, il politico che concepiva il potere come “uno strumento insufficiente ma necessario per raggiungere i propri ideali”. Si rende necessario, ancor più alla luce degli ultimi avvenimenti, ricordare il suo concetto di “questione morale” come “la questione politica prima ed essenziale perché dalla sua soluzione dipende la ripresa di fiducia nelle istituzioni, la effettiva governabilità del paese e la tenuta del regime democratico”.

Enrico, il volto del quale i più ne apprezzarono il carattere schivo, il coraggio e l’onestà intellettuale simbolo di un’Italia che sembra essere finita con lui. Ma anche quella semplicità che lo facevano dispiacere di essere visto come un uomo triste, perché non rispecchiava la sua realtà, quella di un uomo devoto alla famiglia e ai figli, quanto alla politica alla quale aveva dedicato la sua intera vita.

E’ su questo tema che siete invitati ad un confronto, tra chi ha vissuto e condiviso allora le sue idee e le sue passioni politiche, per esprimere le emozioni, e tra chi è cresciuto sentendone solo parlare, per apprendere i suoi insegnamenti.

Ne discuteranno:
Andrea Martella, Deputato PD
Maurizio Baratello, Consigliere Comunale PD

coordina:
Danny Carella, consigliere Municipalità PD

ci porterà i saluti della Segreteria comunale:
Monica Sambo

In una seconda parte, i presenti potranno raccontare il loro ricordo di Berlinguer, in un tempo limite di quattro minuti, per consentire a tutti di parlare. Invito chi già ora vorrebbe parlare a segnarmelo.

Al termine dell’incontro, per chi lo gradisse, vi sarà un rinfresco.

A sabato!

Lettera all’onorevole Pierpaolo Baretta, sottosegretario all’Economia

Venezia, 07 giugno 2014
Alla cortese attenzione del Sottosegretario all’Economia, On. Pierpaolo Baretta.
Le scriviamo in vista del prossimo provvedimento del Demanio nell’ambito della procedura di concessione novantanovennale dell’Isola di Poveglia con il quale dovrebbe essere dichiarata la congruità o meno dell’offerta più alta, presentata da un imprenditore veneziano: 513.000 euro per un grande complesso edificato con sette ettari di suolo agricolo a poca distanza dall’Isola del Lido.
Nel caso, davvero sorprendente, che il prezzo fosse dichiarato congruo – sebbene pari a quello d’acquisto di un solo bell’appartamento veneziano -, resterebbe la possibilità di prelazione da parte dell’Amministrazione Comunale.
È tuttavia evidente che, di fronte alla nota e critica situazione attuale dell’Amministrazione Comunale veneziana, questa possibilità costituisce in realtà un’alea non tollerabile, tanto di più a fronte della straordinaria mobilitazione popolare sviluppata dall’Associazione “Poveglia per tutti” che ha sviluppato in poco tempo un vero azionariato popolare rivolto alla riappropriazione di Poveglia come bene comune.
Riteniamo politicamente sostenibile chiudere la procedura d’asta e riconsiderare la possibilità di inserire il bene tra quelli da affidare all’ente locale secondo le procedure del “federalismo demaniale”, assegnando dunque l’isola al Comune di Venezia.
Non vi è dubbio che la prossima Amministrazione Comunale potrà sviluppare una pluralità di adeguati utilizzi tra loro coerenti, secondo gli indirizzi già emersi dalla partecipazione popolare. La vicinanza di Poveglia all’Isola del Lido potrà costituire
un’occasione preziosa per lo sviluppo sostenibile di tutto il territorio dell’estuario veneziano.
È dunque indispensabile che il Governo Renzi dia un segnale netto a favore di un caso emblematico di cittadinanza attiva e costruttiva, evitando perciò che la valorizzazione di un bene demaniale si traduca in realtà nella sua privatizzazione
senza alcun beneficio pubblico.
Certo della Sua attenzione, Le porgiamo i saluti migliori
Marco Michieli – Segretario Circolo PD di Lido e Pellestrina
Paolo Povolato, Capogruppo PD Municipalità di Lido e Pellestrina

CROCIERE SU VENEZIA

di Marco Zanette

 

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La questione grandi navi da crociera a Venezia è di quelle complesse, che si prestano facilmente a pregiudizi, a banalizzazioni o a crociate, che richiedono soluzioni impegnative dopo valutazioni molto articolate, ma che si offrono anche a pericolose scorciatoie.    

L’attenzione ad essa riservata a livello nazionale ed internazionale attesta un fatto positivo, il valore che tutti danno ancora a Venezia città storica, ma anche un fatto negativo: l’incapacità di governare il problema da parte di Venezia città del presente.  
A parziale scusante del governo locale, dopo che da anni si agita il problema, senza che oggi neppure sia stato individuato un percorso per valutare le alternative e per decidere, vi è solo l’inettitudine complessiva dell’attuale sistema italiano di governance.  Il problema fu posto da attivissimi comitati locali ben prima del dirimente incidente dell’inchino della nave Concordia all’Isola del Giglio.  Si trattava di un movimento a carattere essenzialmente negativo (no grandi navi, a Venezia), nato sulla spinta del crescente gigantismo delle navi da crociera, visto come offensivo del  genius loci veneziano.  
Al tema ben evidente dell’impatto visivo e della sproporzione dimensionale, si aggiungevano fin da subito diverse altre questioni anche più ficcanti, come la sicurezza ed il rischio cui erano esposte persone e monumenti, le emissioni in atmosfera, gli impatti su fondali e sponde lagunari, la pressione del turismo crocieristico nel quadro della sostenibilità complessiva del turismo nella città storica, meta attrattiva crescente per visitatori (per lo più veloci) ed al contempo città declinante di residenti e dimoranti stabili.  

Le risposte della istituzioni direttamente chiamate in causa (l’Autorità Portuale e la Venezia Terminal Passeggeri, concessionaria del terminal crocieristico, a prevalente controllo pubblico) si basarono in sostanza su quattro aspetti:
1) la sicurezza intrinseca offerta dalle tecnologie e dalle procedure in uso sulle moderne navi;
2) la sicurezza intrinseca delle vie di navigazione lagunari, canali profondi in un contesto di bassi fondali sabbiosi e limosi, sui quali una nave in avaria o per errate manovre avrebbe potuto al massimo spiaggiare senza danni (come fosse semplice gestire operazioni di soccorso in emergenza in acque bassissime e come non fossero da valutare anche le operazioni di disincaglio di navi di tali dimensioni in un ambiente del genere);
3) un accordo volontario stipulato con le compagnie crocieristiche per l’autolimitazione del tenore di zolfo dei combustibili utilizzati durante la navigazione in Laguna, così da ridurre la nocività delle emissioni;
4) l’enfatizzazione dell’economia e del lavoro indotto localmente dalla crocieristica. 

Con il naufragio della Concordia, fu chiaro che non si trattava semplicemente di un’altra disputa localistica del tipo NIMBY (Not in My Back Yard) e due ministri del Governo Monti (infrastrutture e trasporti, ambiente) emisero un decreto (7 marzo 2012) che vietava il transito di navi oltre le 40. 000 tonnellate davanti a S.  Marco e fino all’attuale Stazione Marittima Passeggeri, per il futuro tuttavia, cioè solo una volta che fossero disponibili altre vie di navigazione praticabili individuate dall’Autorità Marittima (la Capitaneria di Porto).  
Con lo stesso decreto, al fine del “massimo livello di tutela dell’ambiente lagunare”, si incaricava la Capitaneria di Porto di disporre per la fase transitoria delle ordinanze per la mitigazione del rischio, d’intesa con l’Autorità Portuale ed il Magistrato alle Acque di Venezia (istituzione statale preposta alla tutela delle acque veneziane … e dipendente dal Ministero delle infrastrutture, piuttosto che dal Ministero dell’ambiente !). 

Buoni propositi ! Tuttavia, il diavolo, si sa, si nasconde nei dettagli.  Neppure troppo nascosto nel nostro caso; infatti:
1) la Capitaneria di Porto non ha esattamente le competenze e le strutture per individuare vie di navigazione alternative, quando queste non esistono in natura e, in tal caso, individuarle (cioè progettarle) non significa renderle disponibili;
2) il decreto glissava sul fatto che le “vie alternative” dovessero condurre necessariamente all’attuale Stazione Marittima Passeggeri (raggiungibile ora attraverso il Bacino di S.  Marco ed il Canale della Giudecca) o se esse potessero condurre a nuove strutture portuali situate altrove;
3) individuare nuove vie navigabili, o addirittura nuove sedi portuali, significa rivedere la vetusta pianificazione portuale esistente (il piano regolatore portuale di Venezia risale al 1965 !), mentre, per dire come concretamente stanno le cose riguardo alla pianificazione, l’Autorità Portuale di Venezia è riuscita recentemente ad ottenere una valutazione di impatto ambientale positiva per un progetto di porto off shore per petroli e container a prescindere dalla suo piano regolatore portuale e dal fatto che la raffineria di Marghera sia ormai destinata ad altro, ed a prescindere pure da una strategia di cooperazione portuale a livello altoadriatico che pure sarebbe indispensabile, in ragione dell’enorme investimento e dei riflessi sull’entroterra che un porto del genere comporta;
4) quanto alla pianificazione urbanistica in generale, anche il piano territoriale di coordinamento regionale (il PTRC) glissa sulle scelte concrete per la portualità veneziana e rinvia tuttavia ad un progetto specifico da redigere d’intesa con l’Autorità Portuale ed i Comuni interessati … e nessuno però di questi enti si sogna di avviarlo;
5) quanto alla pianificazione comunale veneziana, il nuovo piano urbanistico adottato (il PAT, di prossima approvazione) si limitava a stabilire come obiettivo la “definitiva estromissione delle navi incompatibili con la città storica e col contesto lagunare” senza tuttavia individuare azioni conseguenti se non “studi di approfondimento sugli impatti …” da realizzare entro 18 mesi, termine ormai trascorso senza che neppure uno di questi studi sia stato avviato;
6) il decreto evitava infine di stabilire chi, come e con che risorse economiche dovesse provvedere per rendere disponibili le vie e/o le strutture portuali alternative

Quanto alle misure di mitigazione del rischio, nelle more della praticabilità di alternative, la Capitaneria di Porto vi provvedeva solo all’inizio di dicembre dello scorso anno, con una ordinanza che introduceva per il 2014 un tetto numerico ai passaggi davanti a S.  Marco delle navi superiori alle 40. 000 tonnellate (le grandi navi di cui si parla e che costituiscono le unità effettive della grande crocieristica attuale, capaci di oltre 3. 000 passeggeri si attestano oltre le 100. 000 tonnellate) ed un divieto per le navi al di sopra delle 96. 000 tonnellate per l’anno seguente.  
Tuttavia l’ordinanza – contestata, per motivi opposti, sia da Venezia Terminal Passeggeri che dal Comune – è stata sospesa (il 13 marzo) dal Tribunale Amministrativo Regionale, fino alla trattazione di merito (fissata al prossimo 12 giugno), per carenza di motivazione istruttoria … e non senza rilevare come il decreto ministeriale sia “carente di orientamenti concreti” !
Poi, il 6 febbraio, al Senato della Repubblica si è svolto un piccolo miracolo della politica con l’approvazione unanime (solo 2 astensioni) di un ordine del giorno che impegna il Governo a che tutte le alternative (anche quelle per nuove localizzazioni di strutture portuali) siano sottoposte alle procedure valutative di legge opportunamente potenziate – di VIA (valutazione di impatto ambientale, per i progetti) o di VAS (valutazione ambientale strategica, di piani e di programmi) – tenendo conto altresì della legislazione speciale per Venezia (parere della Commissione per la Salvaguardia) e attraverso un processo trasparente e partecipato.
Quest’ultimo, stante la vigente legislazione, non potrà che riferirsi alla Convenzione di Aarhus (legge 108/2001), che richiede, proprio per progetti di vie navigabili interne, porti ed avamporti, forme avanzate di informazione e di partecipazione del pubblico, fin dalla fase iniziale del processo decisionale. Le scadenze indicate nella tempistica votata dal Senato sono tuttavia ormai già saltate, anche perché nessuno ha ancora deciso, pur di fronte alle diverse alternative progettuali emerse, alcun percorso istituzionale per giungere ad una scelta.  
Non c’è alcun piano o programma all’orizzonte (e da sottoporre a VAS), ci sono invece più ipotesi progettuali alternative, ciascuna sottoponibile a VIA se l’avanzamento progettuale lo consentisse, ma non esiste una procedura codificata per una valutazione VIA comparata di progetti alternativi aventi lo stesso obiettivo.  Ad oggi, la Capitaneria di Porto ha semplicemente trasmesso al suo Ministero di riferimento (trasporti ed infrastrutture) le proposte progettuali avanzate da più soggetti ed a diversi stadi di approfondimento.  Le alternative in campo sono sostanzialmente riconducibili a tre ipotesi, che si presentano con alcune varianti, così riassumibili in sintesi:
1) la prima ipotesi si basa sull’assunto della necessità di mantenere l’attuale Stazione Marittima a Venezia facendoci giungere le navi attraverso nuovi canali; l’Autorità Portuale ha presentato un progetto per allargare ed approfondire un piccolo canale lagunare (il Contorta S.  Angelo) realizzando un nuovo percorso in diramazione dal Canale dei Petroli (quindi facendo passare le grandi navi da crociera per la bocca di porto di Malamocco assieme al traffico commerciale); mentre altri, pure sostenuti dalla Venezia Terminal Passeggeri hanno avanzato un’ipotesi (non ancora un progetto) per una sorta di nuovo canale tangenziale, a sud dell’isola della Giudecca, mantenendo dunque l’ingresso della navi da crociera dalla bocca di porto di Lido e garantendo comunque ai crocieristi una buona vista panoramica verso la città storica;
2) la seconda ipotesi elaborata da un ex assessore comunale all’urbanistica (arch.  Roberto d’Agostino) è quella di portare (anche progressivamente) la crocieristica nelle zone di Porto Marghera abbandonate dai primi insediamenti industriali e di destinare l’attuale Stazione Marittima alla crocieristica minore ed a nuove funzioni urbane;
3) la terza ipotesi, avanzata da un ex vicesindaco e sottosegretario ai trasporti (Cesare De Piccoli) ed elaborata da uno studio di progettazione del settore, e accompagnata da altre similari proposte, prevede invece una nuova struttura portuale (realizzabile in due anni) in bocca di porto di Lido, all’esterno delle paratoie del MoSE; l’attuale Stazione Marittima sarebbe collegata al nuovo avamporto con mezzi di navigazione lagunare mantenendo le attuali funzioni di check-in, cui sarebbero aggiunte nuove funzionalità per la crocieristica minore e di maggior pregio. 

La prima ipotesi presenta la maggiore criticità per il pesante intervento sull’assetto idromorfologico della Laguna, la quale a seguito dello scavo del Canale dei Petroli è sempre meno “laguna”, cioè acque di transizione, e sta diventando sempre più “braccio di mare” con acque più profonde, più salmastre, correnti più forti, fauna e flora meno caratteristiche.  Secondo molti, le proposte di scavo di nuovi canali sono per questo irricevibili.  Inoltre si tratta di sostenere una spesa elevata (170 milioni di euro previsti per il Canale Contorta) per mantenere l’attuale Stazione Marittima con una darsena già ora ai limiti della possibile operatività a fronte del gigantismo crescente delle navi da crociera. 
La prima ipotesi con l’opzione Canale Contorta e la seconda ipotesi (Porto Marghera) hanno in comune come elemento di criticità un percorso di navigazione in Laguna ben più lungo dell’attuale e la condivisione di buona parte di questo con il traffico commerciale.  La prima e la seconda ipotesi hanno poi in comune il dover scontare le prospettive di lungo periodo sull’innalzamento medio marino con la conseguenza di una maggiore frequenza di chiusura delle paratoie del MoSE per evitare le acque alte a Venezia; ciò comprometterebbe nel futuro il sistema crocieristico che deve garantire al massimo la tempistica delle crociere. 
La terza serie di ipotesi assicura invece una prospettiva di lunghissimo periodo per la portualità crocieristica pur dovendo scontare un’organizzazione più complessa dell’home port. La seconda e la terza ipotesi valorizzano entrambe l’attuale Stazione Marittima derivandone sostanzialmente le risorse economiche per far fronte agli investimenti necessari per le nuove banchine portuali (stimati 127 milioni di euro per l’avamporto al Lido) e prevedendo una crescita dell’indotto occupazionale, mentre, diversamente, con la prima ipotesi gli investimenti necessari per i nuovi canali sono un puro costo aggiuntivo. Inoltre, è da sottolineare che solo l’ipotesi sul Canale Contorta sia stata elaborata da un soggetto pubblico (l’Autorità Portuale), mentre le altre sono di privati e volonterosi cittadini e che se oggi ci sono sul tavolo possibilità concrete di scelta lo si deve ad essi ed all’azione stringente di comitati e testimonial, per richiamare l’attenzione sul tema, non certo al lavoro istituzionale degli enti. 

La scelta è dunque possibile, ma dovrà essere supportata da elementi conoscitivi fondati che consentano di verificare le positività e le criticità che sono state qui solo accennate.  Pare significativo evidenziare, come segnale di maturità dell’opinione pubblica, che una delle “tifoserie” in campo, nata come testimonianza del NO alle grandi navi, stia elaborando valutazioni per poter dire SI ad una soluzione sostenibile, avvicinandosi progressivamente alla soluzione fuori Laguna, cioè alla terza serie di ipotesi che prevedono un avamporto oltre il MoSE, in bocca di porto del Lido.  
Da parte della politica, salvo pur autorevoli prese di posizione personali, sembra prevalere nei partiti la preoccupazione di temporeggiare, badando piuttosto al consenso del mondo economico e del lavoro ed al differente grado di attenzione delle diverse categorie di veneziani, quelli della città storica e delle isole e quelli di terraferma.  
In questo quadro, scegliere di evitare pre-giudizi ed attendere le valutazioni tecniche ambientali è un comportamento virtuoso anche se dovrebbe essere accompagnato da una maggiore incisività nel pretendere un percorso decisionale adeguato e tempestivo. 

Per concludere, almeno tre motivi di speranza. 
• Quanto alle misure transitorie di mitigazione del rischio previste dal decreto ministeriale citato, la Capitaneria di Porto può certamente adottare una nuova ordinanza, meglio motivata.  Intanto, il Sindaco ha annunciato l’intenzione di intervenire con propria ordinanza per motivi di incolumità pubblica e sicurezza urbana (art.  54 T. U. EE. LL. ).  Si tratterebbe di misure di precauzione e prevenzione, ma è tuttavia da temere un’altra disputa al TAR e, poiché le incertezze nuocciono comunque al settore (crocieristica e indotto locale), meglio sarebbe un’azione concordata tra Capitaneria e Comune !
• Quanto al contenimento delle emissioni in atmosfera, si potrebbe fare parecchio, agendo tuttavia non in una dimensione localistica, ma piuttosto nazionale, europea ed internazionale, introducendo l’obbligatorietà di utilizzo di gasolio con tenore di zolfo non superiore allo 0,1 per cento in massa (anziché 3,5 %) secondo quanto previsto dalle Direttive 2005/33/CE e 2012/33/UE e richiedendo impianti ai camini più evoluti, come quelli in uso sulle navi da crociera che toccano i porti nordamericani. 
• Infine, quanto alla corsa verso il gigantismo, è auspicabile che si rafforzi sulle rotte dell’Adriatico e del Mediterraneo orientale il segmento della crocieristica di minor stazza con numero di passeggeri meno elevato e più appropriato alla dimensione delle mete a terra da visitare, città e siti storici, piccole isole.

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La riforma delle province: si può fare di meglio

di Marco Zanette

La scomparsa delle province, preceduta da un breve periodo di trasfigurazione delle medesime, e la trasmutazione di alcune di esse in città metropolitane è ormai un mantra ossessivamente ripetuto, tanto da apparire la cosa più naturale ed ovvia.

Tuttavia, sarebbe bene separare l’eliminazione delle province dalla creazione delle città metropolitane. Tenendo presente che ciò che vale per la prima operazione (spending review e semplificazione dei livelli amministrativi) deve valere anche per la seconda.

C’è poco da dire circa le premesse che rendono necessaria l’operazione nei confronti delle province (la loro proliferazione recente, i relativi costi, la necessità di semplificare il sistema dei livelli di amministrazione locale e di garantire piuttosto l’efficienza complessiva) e non possiamo dimenticare come l’intervento chirurgico sia stato troppo a lungo rimandato, anche per via di una irragionevole “decimazione” tentata dal governo “tecnico” di Monti.  E occorre pure tener conto che l’eliminazione dovrà ora essere necessariamente progressiva, agendo subito con legge ordinaria, data la tempistica per la revisione costituzionale.
Che, poi la fase transitoria e finale di esistenza delle province, come prevista dal disegno di legge governativo, sia discutibile è ovvio, ma, forse, data la sua breve durata (fino all’eliminazione dell’istituzione “provincia” dalla carta costituzionale), è anche abbastanza trascurabile.
Piuttosto, ciò che sconcerta è l’assenza, anche dal dibattito  politico in corso, di un approfondimento su come portare in altri enti le funzioni ora esercitate dalle province (anche tenendo conto delle molte funzioni ad esse delegate dalle regioni e del conseguente necessario riassetto degli uffici) e su come razionalizzare la gestione del territorio in modo più organico per settori e materie di rilievo.  Probabilmente ai numerosi italiani che hanno subito le ultime alluvioni interesserebbe un governo efficiente ed efficace  dei fiumi, come ce lo chiede da tempo l’Europa (Direttiva 2000/60/CE), mentre i nostri porti hanno bisogno di un governo meno campanilistico e più capace di competere in Europa (aggregando dunque le attuali autorità portuali), ecc. ecc..
Quanto alla riorganizzazione dei comuni, va certamente bene insistere per incentivarne le fusioni, lì dove è possibile perché si trova il consenso della popolazione, ma maggiori risultati di efficienza si possono avere insistendo sulle opportunità di funzionamento a rete dei comuni così come sono, per condividere alcune strutture.   Ad esempio, cosa impedisce a più comuni di condividere centrali operative a funzionamento H24 per polizia municipale ed emergenze ? oppure strutture per la gestione di determinati servizi ? oppure perchè la Regioni non determinano che certi ambiti di pianificazione non possano che essere sovracomunali (forse che non sarebbe ragionevole un solo piano urbanistico di tutti i comuni di una vallata ?).

Ciò che non sfugge al cittadino comune è che l’idea di dar ora corpo alle città metropolitane, già previste per legge agli inizi degli anni 90 del secolo scorso, si accompagna, forse non a caso, al tramonto delle province.    Ora, se venti e passa anni non hanno prodotto nulla, neppure nella definizione degli ambiti territoriali e delle concrete competenze di questi nuovi organi, forse questo dovrebbe significare qualcosa rispetto alla loro reale necessità.  Certo, a contrario, si potrebbe dire che forse le grame esperienze sul campo di questi anni si sarebbero potute evitare con un adeguato livello di governo, strategico, di area vasta (ma si sarebbero sul serio risparmiate duplicazioni di stadi, università, aeroporti, ecc. ecc. ? e cosa impediva ai comuni di fare accordi di programma ? fondere aziende partecipate ? ecc. ecc.).
Comunque, manca sul tavolo qualcosa che giustifichi realmente che, oltre a Roma Capitale (con ordinamento a sè stante), servono ben 9 città metropolitane (di cui solo 4 sopra il milione di abitanti) che ben poco hanno a che vedere con le dimensioni metropolitane di altri paesi europei. Invece, gli automatismi previsti dall’attuale disegno di legge, per trasformare le esistenti province in future città metropolitane, lasciano sospettare che sotto ci siano i soliti meccanismi di autoconservazione di certa classe politica.  A Venezia, per esempio, nel paio di decenni trascorsi a pensare alla relativa città metropolitana, questa è stata immaginata a dimensione assai elastica, da Venezia con i pochi comuni dell’immediato entroterra alla conurbazione di Venezia, Padova e Treviso; ora essa avrebbe la dimensione della sola provincia veneziana che in verità per la parte nord-orientale si relaziona assai più col Friuli che con Venezia.
Insomma, magari sarebbe il caso di fare un passo alla volta:  intanto ridistribuiamo i poteri delle province, poi le aboliamo, poi vediamo …Non siamo all’Anno Mille e, se c’è una crociata da fare non è per le città metropolitane, ma per ridurre la distanza, cresciuta in questi ultimi decenni, tra cittadini e vita politica e amministrazione pubblica.

 

Intervento di Luisella Aprà al Congresso Comunale di Venezia del 22 marzo 2014

Compito di chi come me ha scelto la mozione Turetta sarà quello di contribuire con onestà intellettuale ma determinazione ad incalzare al cambiamento radicale della politica, alla discontinuità, sia all’interno del partito sia nelle modalità di affrontare il territorio e il rapporto con l’Amministrazione. Una politica che sappia ascoltare e dialogare con la società civile, per arricchirsi di competenze in modo umile e intelligente, ma anche assumersi la responsabilità di decidere, senza appiattirsi agli interessi di pochi. Per vincere l’astensionismo, il populismo regressivo e pericoloso. Partecipare, far partecipare per decidere meglio! Una politica che operi un cambiamento culturale interno per essere credibile all’esterno. Una politica intelligente e coraggiosa che capisca l’importanza strategica di rimettere al centro dello sviluppo, anche per Venezia, la cultura, il patrimonio artistico e architettonico, la tutela dell’ambiente e, in particolare, la formazione – scuola università e ricerca – volano indispensabile per l’occupazione giovanile e la ripresa economica, con investimenti di qualità , senza sperperi di denaro pubblico. Con l’obbiettivo di formare nuove classi dirigenti, selezionate per meriti e competenze in equità, capaci di politiche con una visione olistica e lungimirante, capaci di governare e non subire i processi del mondo globalizzato dai cambiamenti veloci. Capaci di costruire reti di competenze con ottica sperimentale, ragionando per finalità, obbiettivi a breve o medio termine, con strategie flessibili da monitorare continuamente.
A proposito di democrazia paritaria, delle pari opportunità di genere e di qualunque differenza, leggi e regolamenti sono un segnale forte necessario per il momento ma che non sia un alibi per trascurare che bisogna agire sulle condizioni economiche e sociali al fine di consentire anche alle donne pari possibilità di accedere ai ruoli strategici dove si decide. Agire sull’educazione nelle scuole e con la cultura per cambiare l’immaginario collettivo impregnato di sessismo, del quale spesso siamo complici inconsapevoli, impregnato di separazione tra corpo, emozioni, affetti e sfera del razionale, potere, politica.
Il mio contributo per i problemi della città riguarda la cultura della legalità in particolare in riferimento ai settori del turismo e del commercio. Per esperienza personale, da neo-imprenditrice, sto cercando di salvare un negozio storico di vero vetro di Murano, prodotto artigianalmente, coniugando tradizione ed innovazione. Ho voluto contrastare la deriva dell’invasione di negozi che vendono merce scadente e taroccata, prodotti magari in situazioni mbientali rischiose, da donne e bambini non tutelati da elementari norme di sicurezza, sottopagati/e magari in nero, fatti di materiali tossici. Queste attività deturpano la città, vengono fatti fuori i negozi storici e nuovi avventurieri subentrano ricattando gli esercenti strozzati da affitti altissimi con proposte allettanti, non avendo problemi di liquidità.
I pochi negozi storici che sopravvivono resistono in una città in buona parte svenduta ad un turismo caotico, orientato, anzi disorientato, a consumarla come se fosse un fast food. La politica dovrebbe governare i flussi turistici con itinerari alternativi culturali e ambientali, sottrarre al reclutamento abusivo le comitive che vengono dirottate sia allo scalo marittimo, che al tronchetto e alla Ferrovia. Venezia merita un’inversione di tendenza attraverso un’alleanza tra politica, istituzioni, associazioni, cittadine e cittadini, per scoprire che, con coraggio e lungimiranza, ripresa economica e sviluppo non possono prescindere dalla cultura di una città, di una nazione. Bisogna chiedersi che idea di sviluppo compatibile abbiamo per Venezia, in particolare che città intendiamo lasciare alle prossime generazioni. Anche in vista della Città metropolitana. Per attuare un cambiamento la politica deve creare e governare sinergie per contrastare la criminalità organizzata che ha una elevata capacità di infiltrarsi nel tessuto economico e sociale, riesce ad instaurare relazioni con la società civile, si alimenta con la collusione e la corruzione. Il fatturato della contraffazione nazionale del 2013, diffusa anche al nord est, secondo le stime Censis, ammonta a 6 miliardi e mezzo di euro. Le prede sono in particolare commercianti , imprenditori, artigiani colpiti dalla crisi e le cui attività si stanno trasformando in vere e proprie “lavanderie”. Le forme di illegalità hanno un effetto devastante sulle imprese e trovano terreno fertile negli ostacoli che le imprese incontrano: gli istituti di credito che non lasciano margine di trattativa e fanno interessi da usura, gli enti pubblici e la burocrazia che rallentano i pagamenti e il modello unico dell’Agenzia delle Entrate composto da troppe pagine. La repressione da sola non basta, Il mercato ha valore se mantiene le finalità etiche e sociali costituzionali. La politica in primis deve contribuire favorendo le alleanze a rimuovere gli ostacoli che impediscono la legalità sostanziale, non solo formale. Importante è l’educazione alla legalità nelle scuole, educazione alla cittadinanza attiva e consapevole, anche per la prevenzione delle forme di dipendenza (droghe, “sballo”, ludopatia). La fragilità emotiva relazionale culturale dei giovani e degli adulti è l’altro terreno fertile per la criminalità.
Il cambiamento parte da ciascuno per estendersi a tutti! Non perdiamo di vista che il significato profondo dell’idea riformista originale del PD implica un cambiamento culturale che avrà tempi lunghi e non sarà facile!

Lettera sulla parità di genere e legge elettorale

Come donne del PD del Circolo di Lido e Pellestrina siamo preoccupate per l’accantonamento degli emendamenti della nuova Legge elettorale sulla parità di genere e l’alternanza nelle liste, pur ritenendola la legge un atto politico fondamentale.

Siamo consapevoli che l’attuazione delle pari opportunità richiedono un profondo cambiamento culturale, per creare le condizioni economiche e sociali al fine di consentire anche alle donne pari possibilità di accedere ai ruoli strategici dove si decide.

Sarebbe infatti auspicabile che le donne venissero elette in quanto persone, a prescindere dal genere, solo per competenze e meriti. Ma lo stesso problema si pone per gli uomini. Sono forse arrivati tutti alle posizioni di prestigio per reali meriti e con le competenze adeguate alla posizione occupata?.

In questa fase storica, che vede l’Italia nelle retroguardie per le politiche di genere, sarebbe auspicabile e necessario un forte impulso, un segnale antidiscriminatorio, per arrivare ad una democrazia paritaria per il momento formale, in attesa di un cambiamento culturale profondo, che deve cominciare dall’educazione nelle scuole.

Ci risulta inoltre che le leggi a favore delle donne in Italia siano state promulgate prevalentemente su proposte di parlamentari donne.

Luisella Aprà – Manuela Cavalieri – Daniela Milani Vianello – Caterina Valentini

Circolo PD LIdo e Pellestrina

Discussione pubblica sulla Città Metropolitana (di Stefano Dionisi)

La legge 135/2012 ha avviato un’importante processo di riordino amministrativo incentrato sul ridisegno delle province e l’istituzione delle città metropolitane. Processo che coinvolge non solo l’assetto istituzionale (l’adesione alla città metropolitana e/o ad una provincia da parte dei Consigli Comunali come prevede la legge), ma riconosce le dinamiche socio economiche di aggregazione e scomposizione territoriali, così come le nuove geografie che le utilities disegnano a partire da una più razionale offerta di servizi ai cittadini e alle imprese.” (Marino Folin, Quaderno n.10 della Fondazione Venezia 2000)

E’ iniziato martedì 25 febbraio un ciclo di incontri che la Municipalità del Lido e Pellestrina dedicherà alla discussione sul futuro di Venezia inquadrata in un’ottica di Città Metropolitana, con l’intento di contribuire ulteriormente alla sensibilizzazione della cittadinanza su tale tematica che si rivela essere estremamente strategica e delicata, considerate anche le diverse perplessità e criticità che le sono correlate e che si sono presentate nel corso della discussione ormai pluriennale.

Dopo una breve introduzione del presidente della Municipalità Giorgio Vianello, il professore e presidente della Fondazione Venezia 2000 Marino Folin incomincia a fornire ai presenti, con l’aiuto di immagini e rapporti, una panoramica sull’argomento dando al discorso un taglio non tanto tecnico-giuridico ma, piuttosto, costruendo un ragionamento che ne mette in evidenza le implicazioni socio-economiche.

E’ da molti anni (dalla fine degli anni ’80) che si parla di Città Metropolitana e si discute da sempre sul significato di tale concetto e sulle implicazioni che ne derivano, il professore Folin la vede come un’opportunità per razionalizzare e mettere in rete vari aspetti del nostro territorio, da quelli economici a quelli di erogazione di servizi ai cittadini e alle imprese: “Nel corso del 2012 nell’area metropolitana di Venezia, Padova e Treviso gli attori pubblici, i comuni in primo luogo, ma anche quelli privati (le associazioni industriali, le Camere di Commercio e le società erogatrici di servizi) hanno provato a discutere e sperimentare convergenze di governance territoriale. Diventa quindi necessario mettere al centro del riordino istituzionale e della creazione della città metropolitana politiche e progettualità integrate volte al contenimento del consumo di suolo, alla rigenerazione urbana, al risparmio energetico, alla efficienza ed efficacia del sistema dei servizi della mobilità, all’equilibrio ecologico ed ambientale.” (Marino Folin, Quaderno n.10 della Fondazione Venezia 2000).

La Venezia messa a fuoco dal rapporto OCSE non si riduce alla città storica e nemmeno alla somma del Comune e delle sue Province (che oggi potrebbero effettivamente diventare città metropolitana) , ma la scelta dell’indagine è stata quella di puntare sulle tre province di Venezia, Treviso e Padova, un’area da oltre 2,5 milioni di abitanti, interessata da una forte crescita economica e chiamata oggi a un salto di qualità necessario per dare risposte alle grandi trasformazioni che hanno segnato il sistema industriale dell’intero Nord-Est.

Poi la parola passa a Cesare Campa, politico e presidente della Commissione Città Metropolitana del Comune di Venezia, che dà alla discussione un taglio più propriamente politico-giuridico-istituzionale.

Dopo un breve excursus storico-legislativo (in termini giuridici si comincia a parlare di Città Metropolitana nel 1990 con la legge 8 giugno 1990, n. 142 (artt. 17-21) sulla riforma dell’ordinamento degli Enti locali ) in cui si rammentano i vari passaggi legislativi fino al Decreto Legge, durante il governo Monti, bocciato dalla Corte Costituzionale per ragioni più di forma che di contenuto (per l’importanza dell’argomento si richiedeva un iter legislativo ordinario piuttosto che lo strumento del d.l.), si arriva ad oggi, in tema di abolizione delle province, con la discussione in parlamento del Disegno di legge n. 1542 “Disposizioni sulle Città metropolitane, sulle Province, sulle unioni e fusioni di Comuni” del governo Letta. Campa prosegue affermando che il ragionamento sul costituirsi della “città metropolitana” (termine introdotto, dalla riforma del titolo V della Costituzione, nel art. 114 cost., che lo inserisce di diritto tra gli enti locali che costituiscono la Repubblica Italiana e che, nei futuri aggiustamenti, andrà sostituito) non dovrà essere concepito in termini di mera abolizione delle province ma sarà più corretto parlare in termini di “ristrutturazione” delle stesse: in una prospettiva di razionalizzazione delle competenze politiche nei diversi livelli istituzionali, queste non saranno più organismi elettivi ma organismi con funzioni di secondo livello a cui le Regioni e lo Stato potrebbero assegnare.

La città Metropolitana, che dovrà avere funzioni diverse dalle Province, e che quindi, in sostanza, non costituire un doppione di queste, non cancellerà i comuni, ne toglierà loro le competenze e le responsabilità (in parole povere se si sforerà il patto di stabilità sarà responsabilità dello stesso Comune).

La costituzione della Città Metropolitana, sottolinea Campa, dovrà essere in funzione della, già citata, “razionalizzazione” dei servizi, cercando di ricostruire e valorizzare il rapporto con i cittadini ed è in quest’ottica che dovrà essere ripensato il ruolo delle Municipalità cercando di responsabilizzarle ulteriormente nel rispetto del principio di sussidiarietà, perché così come sono costituiscono solo uno spreco di risorse.

C’è il ragionevole dubbio e paura da parte dei cittadini che la legge in discussione in parlamento, pocanzi citata, si riveli alla fine una legge centralista, calata dall’alto ma, assicura Campa, non è così; non sulla base di una vacua promessa (e nel nostro territorio di promesse infrante e ferite aperte ne soffriamo tutt’ora) ma per un particolare strumento che è previsto per legge: lo “statuto della Città Metropolitana”. All’ art. 23, dedicato alle Città Metropolitane, del Testo unico degli enti locali (decreto legislativo 18/08/200 n. 267) si legge che “l’assemblea, su conforme deliberazione dei consigli comunali, adotta una proposta di statuto della città metropolitana, che ne indichi il territorio, l’organizzazione, l’articolazione interna e le funzioni”, tale statuto, come si legge, è proposto dall’assemblea dei rappresentanti degli enti locali interessati e verrà, a quanto sembra, discussa e redatta con il coinvolgimento della cittadinanza in un’ottica di democrazia deliberativa.

Sempre riferendomi al medesimo articolo si nota un’ulteriore strumento di partecipazione-garanzia a favore dei cittadini, infatti al comma 3 si legge “La proposta di istituzione della città metropolitana è sottoposta a referendum a cura di ciascun comune partecipante, entro centottanta giorni dalla sua approvazione. Se la proposta riceve il voto favorevole della maggioranza degli aventi diritto al voto espressa nella metà più uno dei comuni partecipanti, essa è presentata dalla regione entro i successivi novanta giorni ad una delle due Camere per l’approvazione con legge”.

La serata si è conclusa con un breve momento di dialogo tra gli ospiti e la cittadinanza presente, diversi interventi ne hanno sottolineato le perplessità ma, come accennato all’inizio di questa mia riflessione, se vogliamo, introduttiva all’argomento, ci saranno altri momenti-spazi di confronto pubblici, anche a quanto promesso dal presidente della Municipalità Vianello, dove approfondire sempre di più la materia.

Vi lascio, per vostra curiosità, con una segnalazione di un libro fresco di pubblicazione che è stato fatto girare tra i presenti, da uno dei partecipanti, alla fine di tutti gli interventi :  Città metropolitana di Gianfranco Perulli, Giappichelli editore.